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Maggio 2019

Personale 28 Maggio - 18 Giugno


I dieci mondi.

 “Pensiamo che durezza, prepotenza, schiavitù, pericoli per le strade e nel cuore, segretezza, stoicismo, arte tentatrice e demonismo d’ogni sorta, che tutto quanto v’è nell’uomo di malvagio, di tirannico, dell’animale rapace e del serpente, serva all’elevazione della specie «uomo» altrettanto come il suo opposto.”
 (Cit. Friedrich Nietzsche) 

Il bianco e il nero sono le fondamenta della poetica di Bruno Biondi. Senza andare a scomodare i soliti concetti precostituiti dello Yin e dello Yang, o quelli del lato oscuro e dal lato luminoso presenti in ognuno di noi; penso profondamente di voler dare una lettura molto più personale ed intimista al lavoro di un artista così evocativo. Osservando questo ultimo progetto bicromatico trovo immediatamente un’intensa connessione poetica con il “Quadrato nero” di Malevic e con il suo pensiero Suprematista che tanto ha dato all’incipit dell’Avanguardia Russa e non solo. “L’evocazione volta alla pura non-oggettività nel bianco vuoto di un nulla libero” (cit. Malevic) è insita nel quadrato nero di Malevic tanto quanto lo è nell’atto creativo del pittore Biondi. L’idea della trasformazione dell’artista nello zero della forma è la creazione di un nuovo realismo non-oggettivo. L’atto di dipingere è dunque liberatorio ed è liberato dal concetto di estetica, va oltre; ponendo al centro della creatività l’atto pittorico in sé e la sensibilità che ne deriva in chi dipinge e da chi ne diventa poi fruitore. Biondi non si basa dunque sulla rappresentazione della realtà ma riconduce le sue opere all’essenza dell’arte che è dunque fine a se stessa. La fusione dei concetti verticali e dei campi, ossia delle superfici, è ormai un fattore evidente. In alcune opere possiamo notare come l’escavazione divenga bianca se si sofferma sul bianco e nera se sul nero è tracciata - come spiega l’artista stesso - e vice versa, in modo speculare. Ma il processo creativo non si ferma qui, è in evoluzione costante. In quest’ottica ciò che un solo elemento: il colore, affiancato dal concetto di verticalità, che è l’emblema tipico dell’arte di questo artista, ci conducono così a voler riflettere sulla possibilità di elevazione interiore (in senso verticale appunto), verso la ricerca di una luce, di un’evocazione spirituale e taumaturgica che guardi alla purificazione dell’animo, dai trascorsi dolorosi; affrancandoci dalle sofferenze terrene. Allora ecco che il passato - artistico ma anche umano di Biondi - ritorna attraverso il ricordo. Il rimando alle opere del passato è di fronte a noi ed è inesorabile, incancellabile, in distruttibile. Se nelle mostre passate la verticalità era accompagnata spesso dal gesto dell’escavatura nella tavola o nella tela da parte dall’artista, nell’intento di andare oltre, anche attraverso un atto liberatorio; adesso l’accento è posto più sulle matrici del bianco e nero e poi nella linea verticale, inserendo così una sintesi minimalista e approcciandosi in modo decisamente più maturo e sinteticamente diretto ai sensi e ai mondi emotivi interiori... Può sembrare che il soggetto sia espresso dai soli concetti verticali ma non è così. Osservando più a fondo la poetica e i quadri di questa nuova mostra meneghina noteremo che il soggetto è anche la ricerca materica, che è la vera genesi che permette ai concetti verticali la vita: grazie al virare dei bianchi e dei neri, dei grigi leggeri, dei bianchi sporchi e delle significazioni intrinseche che ne scaturiscono da questi paesaggi interiori. è da questa riflessione che nasce il progetto dei “dieci mondi”, dieci sensazioni scaurite da stati vitali che possono partire dai mondi più bassi sino a quelli più alti, cioè illuminati (Inferno, Avidità, Animalità, Collera, Umanità, Estasi, Studio, Illuminazione Parziale, Bodhisattva e infine Buddità) che lasciano emergere il loro mutuo possesso al contempo. Il Sutra del Loto è un importante insegnamento Buddhista che espone il mutuo possesso dei dieci mondi (che sono contenibili l’uno nell’altro permettendo di conseguenza di illuminare anche i mondi più bassi) per rivelare che le persone comuni possono manifestare la propria Buddità così come sono, senza dover rinascere in un’altra forma o in un’altra terra. Il vero significato di percepire i dieci mondi dentro la propria mente consiste dunque nel manifestare il mondo di Buddità - cioè la parte illuminata di noi, il mondo più puro ed elevato - che esiste nella propria vita. Osservando le opere dell’artista riesco a percepire l’esistenza di tutti i dieci mondi in ogni singola opera e non soltanto differeziando ogni singolo stato d’animo nel singolo quadro. Tutti i mondi spirituali sono in esso contenuti e si dipanano dai neri dell’inferno sino ai bianchi dell’illuminazione, passando nelle nostre menti grazie al segno dell’escavazione che evoca la ricerca interiore. La verticalità ci rammenta il mondo di studio e di ricerca e via dicendo... Ciò accade per ogni singolo mondo interiore, ponendosi come obiettivo il raggiungimento della vetta; incamminandoci sempre più verso l’altro, verso quella sensazione di equilibrio e di quiescenza che dallo stato di latenza vira verso un mero effetto manifesto di pace interiore a cui l’artista anela nel profondo del suo cuore e che è poi la nemesi della citazione di Nietzsche posta dunque volutamente all’inizio di questo testo. Allora non resta che sprofondare nell’ambientazione di un Ex Chiesa, come quella di San Celso a Milano, luogo che per antonomasia rimanda a quello che fu un tempo, cioè un luogo di preghiera, di raccoglimento, e che oggi sconsacrata ci permette di accogliere questa esposizione artistica che si collega così intimamente alla spiritualità di ognuno di noi e dell’artista.

Notiamo il fondersi di una moltitudine di mondi interiori; che con con l’ausilio dell’arte ci aiutano a osservare l’idea di speranza; quella speranza che in un mondo pieno di violenza e di noncuranza è necessaria come causa di un futuro migliore e altruistico. La verticalità dei concetti si espande oltre la tela, andando a escavare anche il bordo. I bianche e neri dunque vanno affermandosi senza paura nella gestione cromatica; quella paura che nasce non dalla capacità pittorica dell’artista, tutt’altro; ma dal fatto che l’artista sa sempre da dove parte ma non sa dove giungerà nel suo percorso creativo. Esattamente come accaduto nell’incubazione di questo progetto artistico. Spesso il nero potrebbe silenziare il racconto, soffocandolo, ma ecco che i bianchi invece ci accolgono nella narrazione e ci conducono in un mondo “altro”; capace di farci riflettere e sognare al contempo. 

Testo critico a cura di Massimiliano Bisazza.


Invito cartaceo. In copertina opera scelta per la comunicazione della mostra

Copertina del catalogo della mostra stampato in n. 200 copie.

Personale organizzata con il patrocinio di:



www.comune.milano.it/municipio1






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