Sono daltonico dalla nascita. Mio nonno Bruno era daltonico
e il gene è passato a mia madre e poi a me. Fin da piccolo era
chiaro che avessi delle difficoltà a riconoscere i colori. Per me
la pastasciutta con il sugo rosso era blu e la “tutù” verde
(macchina) era gialla. Allora non pensavo a quanto avrebbe
inciso nella mia vita futura. Ero troppo piccolo. Alle
elementari cominciai a prendere coscienza della mia
anomalia. La maestra mi prendeva in braccio, mi mostrava
una favolosa serie di matite colorate e mi faceva delle
domande. Per la prima volta mi sentivo in difficoltà. Diverso.
Preferivo disegnare in bianco e nero, e quando mi si chiedeva
di farlo a colori era evidente che per me era una forzatura. I
miei genitori hanno sempre sdrammatizzato che fossi
daltonico, non imponendomi né di colorare i miei disegni, né
facendomi domande su di essi. Il mio primo libro di
illustrazioni, che pubblicai a otto anni, conteneva diversi
disegni e mio padre mi invitò a farli in bianco e nero. Il
disagio così svaniva e tutto sembrava più semplice e
immediato. Ho cominciato a disegnare molto presto
suscitando l’entusiasmo di amici e famigliari. I miei disegni
erano fatti a china o con un bellissimo pennarello nero.
Quando cominciai a perfezionare la mia tecnica disegnando
anche su grandi formati - i miei preferiti - gli strumenti che
usavo, dagli acquerelli al disegno al tratto, non erano mai a
colori. Alle scuole superiori, all’Istituto d’Arte, cominciai a
dover usare i colori e alle prime evidenze delle mie difficoltà,
amici e professori mi subissavano di domande, incuriositi
dalla mia visione alterata del mondo. Allora, come ancora
oggi, per me la pelle umana era verde, gli alberi interamente
marroni o interamente verdi, nessuna tonalità sottile era
colore per me, ma grigia. Tanto più il colore era chiaro tanto
più lo vedevo in bianco e nero. Tutto il mio spettro cromatico
era “sfasato” e mi fu così diagnosticata una discromatopsia
totale. Nonostante questa anomalia, entrai a lavorare in
Agenzia Pubblicitaria e l’unico modo per celare le mie
difficoltà era chiedere ad una persona di fiducia, che nulla
diceva ad altri, come dovevo creare un verde, un blu invece
che un viola, un azzurro chiaro invece che un grigio, un verde
anziché un marrone e così per l’arancio, il giallo, il rosso e
ogni altro colore. L’avvento del computer mi permise di gestire i colori dosando correttamente il cyan, il magenta, lo
yellow e il nero. Feci mia la teoria e la pratica del C-M-Y-K
anche se comunque dosare correttamente le percentuali di
questi valori continuò a rappresentare un problema. Quando
dovevo controllare la cromia di una foto, i colori intensi erano
un mistero e quelli tenui si spegnevano nel grigio. Ci fu però
un evento che cambiò completamente la mia percezione del
daltonismo. Ero da un fornitore da cui andavo a ritoccare le
immagini. Scopri che valori minimali di colore quali un 2% di
giallo, un 1% di nero non visibili a monitor da altri, erano da
me chiaramente percepiti e potevo segnalarlo tra stupore
degli addetti ai lavori. Daniela, una fotoritoccatrice che
lavorava presso quello studio, mi chiamava alla sua
postazione e mi chiedeva se il fondo bianco fosse neutro e io
ero in grado di farle notare che vi era una minima
percentuale di giallo o di rosso a lei invisibili, ma a me
chiaramente presenti. La mia discromatopsia totale e il mio
magico spettro cromatico così diverso da quello comune
sembrava, in quelle occasioni, non più un limite ma un punto
di forza. Quando cominciai a dipingere, partii dal figurativo e
così nasceva un mondo fantastico incompreso da molti; poi
l’evoluzione naturale fu quella di passare all’informale. La
mia tecnica era quella di usare colori puri sovrapponendovi
del nero. Il nero, il non colore per eccellenza era fortemente
radicato nella mia natura, così come il bianco. Non riuscivo a
non creare una tela senza che un rosso 100 -100 fosse poi
amalgamato nel nero e quella vibrazione era per me
fondamentale. Nel tempo ho creato tele esclusivamente di
colore rosso, blu o con del giallo, ma non sono mai riuscito a
privarle del nero o del bianco. Le mie emozioni più forti e
sincere nascevano dal dipingere solo in bianco e nero. Quei
lavori facevano parte del mio esclusivo mondo interiore. Sono
sempre stato affascinato dalla fotografia in bianco e nero,
perché grazie a quella depurazione si arriva a valori formali
più intensi. Il bianco e nero mi permettono di essere più
incisivo e formalmente più innovativo. è il mio modo
naturale di esprimermi. Oggi come da bambino, quando
facevo i primi disegni con il mio pennarello nero sui fogli di
carta bianca.